martedì 9 maggio 2017

"Vivere secondo la forma del santo Vangelo": "in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità". Visita alla chiesa inferiore della Basilica di S. Francesco in Assisi (4.3)


ultima revisione 23 maggio 2017

Nella crociera, il punto d'incontro tra il transetto e la navata, nella volta sovrastante l’altare eretto sopra la tomba di san Francesco, nel secondo decennio del Trecento (1315 ca) la stessa bottega di Giotto (o secondo altri un pittore a lui stilisticamente “imparentato”  - da qui il nome convenzionale di “Parente di Giotto” - e il cosiddetto "Maestro delle Vele") ha affrescato il Gloriosus Franciscus e le allegorie dei tre consigli evangelici che, fin in antico, la vita religiosa ha assunto nella forma del “voto”.
Così anche per Francesco che nella Regola del 1223 (quella “bollata”), dopo aver affermato per i suoi il principio dell’osservanza del Vangelo del Signore Gesù Cristo, così precisa: «vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità» (1, 1: FF³ 75).
Nella redazione del 1221 (la cosiddetta Regola "non bollata"), in modo più dettagliato, Francesco “scrive” che «La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e poi vieni e seguimi”; e: “Se qualcuno vuol venire die­tro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi se­gua”; e ancora: “Se qualcuno vuole venire a me e non odia il padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita stessa non può essere mio disce­polo”. E: “Chiunque avrà lasciato il padre o la ma­dre, i fratelli o le sorelle, la moglie o i figli, le case o i cam­pi per amore mio, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna”» (1, 1-4: FF³ 4).
«L’influenza esercitata della mistica francescana non si è limitata a creare una nuova concezione della leggenda cristiana; non ha semplicemente portato sulla terra, dalle altezze astratte del cielo, i grandi simboli delle idee cristiane, ma ha anche dato loro un corpo, li ha rivestiti di un aspetto umano per renderli più comprensibili. E questo, a dire la verità, non era una cosa interamente nuova. Accanto ai simboli, che inizialmente costituivano il suo unico campo d’azione, l’arte cristiana, appoggiandosi in parte alle tradizioni antiche e in parte creando liberamente, ha cercato di personificare le concezioni teologiche e morali. Ma il merito della nuova mistica popolare e francescana consiste nell’aver cercato delle rappresentazioni allegoriche che fossero più chiare possibili al popolo, sostituendo alle immagini astratte delle immagini molto semplici e pittoresche. Con ciò ha fornito all’arte una materia estremamente ricca e di facile impiego. Col moltiplicarsi delle rappresentazioni allegoriche, i simboli sono diventati sempre meno frequenti […]. È impossibile dire esattamente in quale misura gli ordini mendicanti abbiano contribuito alla formazione di questo nuovo gusto artistico. Comunque il loro contributo, in via generale, è incontestabile; lo prova il fatto che le chiese dell’ordine mendicante, più di qualsiasi altra chiesa italiana, abbondano di immagini allegoriche» (Henry Thode, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, a cura di Luciano Bellosi, Roma, Donzelli, 2003, p. 405).

Nella lettura di queste allegorie, mancando di altri criteri, seguiamo l'ordine “dettato” della Regola (obbedienza, senza nulla di proprio e castità), tenendo per ultimo il 
Gloriosus Franciscus.


L'OBBEDIENZA



La vela a sud mostra il “consiglio” dell’obbedienza il cui riferimento evangelico nella Regola “non bollata” è dato dal citato passo: «se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24; cf Rnb I 3: FF³ 4) che, insieme a quello relativo al sine proprio (cf Mt 19, 21) - almeno stando all’Anonimo perugino - Francesco incontrò nella triplice apertura del Vangelo in San Nicolò di Assisi (11: FF³ 1097).

La scena è ambientata in una sala gotica – secondo alcuni un’aula capitolare, il che renderebbe anche il luogo particolarmente significativo per tale virtù – al centro della quale è seduta l’Obbedienza con alle spalle una rappresentazione della crocifissione. L’Obbedienza, secondo alcuni vestita con un saio - alata ed avvolta da un manto scuro,  sta imponendo l’evangelico giogo (cf Mt 11, 29-30) ad un frate con la testa che sembrerebbe un teschio, forse ad indicare quell’obbedienza perinde ac cadaver (allo stesso modo di un cadavere) che molto più tardi sant’Ignazio di Loyola prescriverà per la Compagnia di Gesù (cf Costituzioni VI I 1 [547]). Inginocchiato davanti a lei il frate accoglie il giogo tendendo verso di esso le mani. 
L’Obbedienza, che richiama al silenzio come condizione necessaria a quell’ascolto che precede l’obbedire (verbo composto da ob e da audire = "ascoltare stando di fronte"), porta anch’essa il gioco, segno della suo essere soggetta ad una superiore autorità. Sopra il tetto della sala si trova la figura eretta di Francesco che tiene nella mano sinistra la croce, per nulla schiacciato dal giogo che porta anch’egli sulle spalle e le cui redini sono in quelle mani che si affacciano dal cielo, al vertice della vela. Dunque il frate che obbedisce al proprio superiore – così sembra di poter dire - obbedisce a Francesco, il quale a sua volta obbedisce a Cristo, in una relazione che richiama il passo della Regola in cui è scritto: «Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori» (I 2-3: FF³ 76).



Ai lati di Francesco sono inginocchiati due angeli che reggono altrettanti cartigli con leggende. Su quello alla destra del Santo: Tollite jugum obedientie suae; su quello alla sua sinistra: Imitamini istum per crucem penitentie» (in particolare per il secondo, oggi parzialmente illeggibile, si è riportato il testo che compare nella Descrizione del Santuario di S. Francesco d'Assisi curata da L. Carattoli, M. Guardabassi e G. B. Rossi-Scotti nel 1863 e pubblicata nel volume XXVIII del "Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l'Umbria" (p. 163).


Alla destra e alla sinistra dell’Obbedienza stanno le sue due ancelle. La prima è la Prudenza che sembra seduta ad uno scrittoio (come nell’immagine della stessa virtù che Giotto affrescò nella Cappella degli Scrovegni di Padova agli inizi del Trecento [vedi pagina di it.wikipedia.org]), con una doppia faccia coronata, una giovane che guarda in avanti e una vecchia volta indietro, mentre tiene nella mano sinistra un compasso e nella destra uno specchio rivolto - almeno così sembra di vedere - verso colui che sta ricevendo il giogo. Davanti a lei, sullo scrittoio, sta un astrolabio, sostenuto da una piccola struttura. 
Se il volto vecchio rimanda alla memoria delle cose passate, necessaria a tutti coloro che vogliono essere prudenti, il compasso indica la necessità di saper ben misurare e riportare fedelmente, mentre lo specchio allude alla virtù che impone la conoscenza di sé stessi, condizione preliminare per la realizzazione del bene. L’astrolabio, strumento usato nella navigazione, richiama alla necessità di non affidarsi nel proprio cammino al caso o alla fortuna. Così a proposito della prudenza si legge nel Convivio di Dante: «Convienzi adunque essere prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria de le vedute cose, buona conoscenza de le presenti e buona provedenza de le future» (IV 27, 5).


La seconda ancella, sul lato opposto alla prima, è l’Umiltà che ha gli occhi rivolti a terra (umiltà dal latino humĭlis = "poco elevato da terra", derivato di humus = terra), in un atteggiamento opposto a chi invece ha «occhi altezzosi e cuore superbo» (Sal 100, 5), e tiene con la mano destra una candela, così come compare in una delle formelle della Porta sud del Battistero di Firenze disegnata da Andrea Pisano e fusa tra il 1329 e il 1336 [vedi pagina di it.wikipedia.org].

Ecco come il teologo Bernhard Häring considera la virtù della prudenza e il suo rapporto con l'umiltà: «Il significato più vasto del termine  biblico “prudenza” coincide, in larga misura, col concetto di “sapienza”. Esse costituiscono, insieme, il contrapposto della “pazzia del peccato”, il quale, nel suo accecamento, si prescrive uno scopo e dei mezzi che conducono inevitabilmente all’eterna perdizione […] La prudenza deve giudicare “dei mezzi proporzionati allo scopo”, come dice S. Tommaso dopo Aristotele, cioè: essa deve vigilare sulla pratica della carità. […] Ogni virtù dipende dalla prudenza nella misura in cui essa ha bisogno di armonizzare la sua azione alle circostanze […] Essa ha due compiti: valutare esattamente le circostanze concrete, e decidere l’atto che ad ogni momento la realtà esige. […] La virtù della prudenza non considera solamente le circostanze esterne, ma, soprattutto, le realtà soprannaturali. In quanto virtù infusa, essa è l’occhio della fede rivolto alla situazione del momento. […] La prudenza si radica nell’umiltà e nel riconoscimento umile e rispettoso della realtà e delle possibilità limitate del bene. […] Prudente è solamente chi, in umiltà assume le povere condizioni della vita ed accoglie volentieri il compito che Dio gli trasmette per mezzo del messaggero così banale della situazione concreta. […] La virtù della prudenza è davanti al reale, non come spettatrice estranea, ma per impegnarsi attivamente in esso. Essa è estranea ad ogni quietismo e ad ogni falsa “interiorità”, la quale per essere in regola si contenta di buone intenzioni senza dare la dovuta importanza all’azione» (La legge di Cristo. Trattato di teologia morale. Libro terzo: Morale speciale [...], 3. ed. italiana aumentata e aggiornata, Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 22-32).

Secondo la logica della separazione delle pecore dai capri nel giudizio finale (cf Mt 25, 31-46), in questa come nella altre allegorie abbiamo in basso a destra della vela (a sinistra di chi guarda) chi accoglie l’invito di Gesù e lo segue, mentre sul lato opposto, a sinistra, chi lo rifiuta.
In basso, a destra dell’Obbedienza (sotto la Prudenza) abbiamo due giovani - si potrebbe dire "novizi" - che, in ginocchio, rispondendo all’invito dell’angelo, si dispongono a ricevere l'evangelico giogo. Alla sinistra invece (sotto l’Umiltà) un angelo è alle prese con un centauro, con la testa e il busto di un uomo, gli arti anteriori di un cavallo mentre quelli posteriori – almeno secondo Thode (cit., p. 418) - di una pantera, in un atteggiamento non molto diverso da quello di Pietro nella scena della lavanda dei piedi affrescata poco distante dal Lorenzetti, a quel suo portarsi una mano alla testa ad esprimere un deciso diniego. 

Il centauro è raffigurato all'esterno della sala, su un piano diverso anche rispetto agli angeli che coronano la scena. Sembra scandalizzato da ciò che gli sta di fronte, dall'idea di doversi sottomettersi, di porsi sotto l’obbedienza che, come la croce di Cristo per i giudei e i pagani, gli pare scandalo e stoltezza (cf Cor 1, 23). Creatura della mitologia greca, il centauro rimanda qui alla fierezza dei cavalli che si piega «con morso e briglie, se no, a te non si avvicinano» (Sal 32, 9) o, come è definita dal finale dell’iscrizione latina posta – come per tutte le quattro scene - sotto la vela, la Presunzione. Alla base della vela, a destra e a sinistra della scena, stanno gli angeli. I due più esterni hanno tra le mani un corno. Quello alla sinistra della scena lo tiene attraverso un velo in segno di rispetto più che per il corno in se per il suo contenuto, forse dell'olio, possibile allusione ad una sorta di consacrazione regale (cf 1Sam 16, 13) o sacerdotale.

Sotto la vela un’iscrizione latina (in parte scomparsa) sintetizza così il messaggio proposto:

VIRTUS OBEDIENTIE / IUGO CHRISTI PERFICITUR / CUIUS IUGO DECENTIE / OBEDIENS EFFICITUR / ASPECTUM NON MORTIFICAT / SED VIVENTIS SUNT OPERA / LINGUAM SILNES CLARIFICAT / CORDI SCRUTATUR OPERA / COMITATUR PRUDENTIA / FUTURA QUAE PROSPICERE / SCIT SIMUL ET PRESENTIA / IN RETRO IAM DEFICERE / QUASI PER SEXTI CIRCULUM / AGENDA CUNCTA REGULAT / ET PER VIRTUTIS SPECULUM / OBEDIENTIE TREPIDAT / SE DEFLECTIT HUMILITAS / PRESUMPTIONIS NESCIA / CUIUS IN MANU CLARI[TAS] VIRTUTE […] CON […]


(La virtù dell’Obbedienza si raggiunge attraverso il giogo di Cristo: tramite questo giogo discreto si diventa obbedienti. Obbedienza non uccide il visibile, ma in essa opera colui che vive: silenziosa, essa illumina la bocca, essa scruta le opere del cuore, si unisce alla Prudenza, essa conosce il futuro, lo sa prevedere, lascia dietro di sé il presente ormai. Quasi servendosi di compasso e di divisore mette ordine in tutti gli atti, e attraverso lo specchio della virtù domina l’obbedienza con l’obbedienza. Umiltà si inchina e disprezza Presunzione. In chi le rende omaggio risiede la luce di tutte le virtù [traduzione da: Guy Lobrichon, Francesco d’Assisi. Gli affreschi della basilica inferiore, Torino, SEI, 1987, p. 134]).



LA POVERTÀ



L’affresco della vela ad est, verso la navata è dedicato alla povertà - o, per dirla con il linguaggio della Regola, al sine proprio - e ha come testo evangelico di riferimento il «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19, 21).

Al centro della scena sta la Povertà: un donna scarna, con un abito bianco come quello di una sposa, ma stracciato e rattoppato, cinto da una corda. Le sue ali pendono inerti, come spezzate. È in piedi su di una roccia in mezzo a rami spinosi. Sotto di lei sta un cane che le abbaia contro e due uomini “piccoli”, insipienti, uno dei quali le tira dei sassi, mentre l’altro le brandisce contro un lungo bastone, segno dell’odio del mondo per la povertà (cf Jacopone da Todi, San Francesco sia laudato, citato in: Thode, cit., 409). Dietro di lei fioriscono rose bianche e rosse e gigli.
Alla sua destra c’è Cristo – colui che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (2Cor 8, 9) - che, tenendola per il braccio, pare consegnarla a Francesco che le sta infilando al dito l’anello nuziale. Alla sinistra della Povertà le due sue ancelle: con l’abito verde la Speranza dalla quale prende l’anello per donarlo a Francesco siglando così l'alleanza; con l’abito rosso e una corona di fiori con tre fiamme sulla testa è rappresentata la Carità che offre l’amore rappresentato da un cuore. Rinuncia ai beni presenti nella “speranza” di quelli futuri (come non pensare al tema della predica presso il castello di Montefeltro: Tanto è quel bene c’io aspetto, che ogni pena m’è diletto [FiorCons 1c: FF³ 1897]) facendone dono nella “carità” ai più bisognosi.

Coloro che ascoltano e seguono Gesù sono rappresentati a destra da un giovane che, rispondendo all’angelo che lo invita alle nozze, si toglie la tunica per darla ad un povero, tunica che, nella parte superiore della scena, è portata dagli angeli a Dio – le cui mani si protendono verso il basso - insieme ad un borsa, presumibilmente di denaro, e ad una casa. Evidente il riferimento al passo del citato brano in cui Gesù dice: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40). 


A sinistra invece stanno coloro che rifiutano l’invito (cf Mt 22, 1-5). Il primo sembra essere un uomo dedito alla falconeria, la pratica venatoria basata sull'uso dei falchi o di altri rapaci come appunto quello che tiene sul braccio sinistro. Con la mano destra fa un gesto volgare (il gesto delle fiche ricordato anche da Dante in Inferno XXV 2). Si tratta di due elementi che dicono l'orgoglio o, meglio ancora, la superbia di chi pretende di prevalere sugli altri. Alla sua sinistra sta l'Avarizia con un vistoso abito blu e giallo che volta le spalle all'angelo stringendo tra le mani una borsa probabilmente di denaro. E se a qualcuno questo secondo personaggio sembra tonsurato (un non improbabile richiamo all'avarizia di certo clero), più evidente è la chierica dell'Invidia la cui testa spunta tra i primi due. Si tratta evidentemente di un "religioso” (oltre alla tonsura porta un cappuccio, elemento che caratterizzava l'abito degli ordini monastici e mendicanti) che con le mani sembra premersi il petto, come per soffocare qualcosa che gli brucia dentro. 
Si tratta dei vizi dai quali lo stesso Francesco mette in guardia i frati quando nella Regola scrive: «Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cure o preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione» (Rb VIII 7: FF³ 103); vizi che Dante cita in Inferno VI 74-75 come tre scintille che danno origine all'incendio della stessa convivenza sociale in quanto pongono gli uomini gli uni contro gli altri (cf Dante Alighieri, Commedia, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Vol. 1:  Inferno, Milano, A. Mondadori, 1991, p. 194, nota a VI 75).

Sotto la vela l'iscrizione latina:

[…] SIC CONTEMNITUR / DUM SPERNIT MUNDI GAUDIA / VESTE VILI CONTEGITUR / QUERIT CELI SOLATIA / […] TUR DURIS SENTIBUS / MUNDI CARENS DIVITII / ROSIS PLENA VIRENTIBUS / […] ANT / CELESTIS SPES ET CARITAS / ET ANGELI COADJUVANT / HANC SPONSAM CHRISTUS TRIBUIT / FRANCISCO UT CUSTODIAT NAM OMNIS EAM RE [SPUIT]

(Povertà è schernita, tuttavia essa disdegna le gioie terrene; vestita di vili stracci, cerca le consolazioni celesti. Ferita da dure spine, privata delle ricchezze terrene, risplende di rose fiorite e della gioia del cielo, a Francesco essa porta il suo costate aiuto; Speranza e Carità celesti danno il loro contributo affinché Necessità sia legge. Cristo a Francesco la dà in sposa, affinché egli la mantenga. Il mondo intero infatti la vomita [traduzione da: Lobrichon, cit., p. 132]).



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Il tema della Mistiche nozze di Francesco con Madonna povertà potrebbe essere definito un “classico” della agiografia sanfrancescana. Appare per la prima volta nella Vita seconda di fr. Tommaso da Celano (55: FF³ 641) con espressioni poi riprese da san Bonaventura nella Leggenda maggiore (VII 1: FF³ 117). Subito dopo il tema è trattato nell'operetta allegorica di anonimo autore della seconda metà del sec. XIII intitolata Sacrum Commercium sancti Francisci cum domina Paupertate (L'alleanza di santo Francesco con Madonna Povertà) (FF³ 1959-2028) e in una laude di Jacopone da Todi (San Francesco sia laudato). Un tema quindi diffuso ben prima che Dante lo celebrasse nella Divina Commedia (Par XI, 58-78) e che alcuni vorrebbero far risalire addirittura allo stesso Francesco che a papa Innocenzo III raccontò la parabola di quella donna povera che, vivendo nel deserto, manda i figli poveri come lei al re suo sposo, esortandoli a non vergognarsi della propria condizione, ma di chiedere quanto gli occorre (cf 2Cel 16: FF³ 602; LegM 3, 10: FF³1064). Del resto – secondo il primo biografo – così ebbe a rispondere agli amici che gli chiedevano se volesse prendere moglie: «Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e sapienza» (1Cel 7: FF³ 331).


LA CASTITÀ



La vela a nord, dedicata alla Castità, ha come luogo di riferimento una rocca con torre e mura di cinta merlate, bianca come lo stendardo che sventola sulla sua sommità. La fortezza è sorvegliata da nove guerrieri alati e barbuti, con scudo e flagello. Nella torre, attraverso una finestra, si vede la protagonista (S. Castitas), con velo e soggolo bianchi, rivolta con le mani giunte verso un’immagine sacra, un trittico, appeso alla parete. Due angeli le porgono la corona e la palma, antichi attributi della vittoria. Ai piedi della torre, si sporgono dalle mura le due ancelle, la Purezza (S. Munditia) e la Fortezza (S. Fortitudo), rivolte verso un giovane che, proprio ai piedi della rocca, nudo in una vasca, viene lavato da due angeli. Porgono a lui rispettivamente uno stendardo bianco e uno scudo, l’insegna della dama che appunto dovrà custodire e difendere. Altri due angeli procedono verso di lui dalla sinistra della scena portando un abito che, con il cappuccio calzato, troviamo indossato dalla Penitenza (Penitentia) che, con un flagello, respinge l’assalto delle passioni che procedono da sinistra. 


Si tratta di Amor, Immunditia ed Ardor: la prima con una corona di fiori in testa, gli occhi bendati, le ali, l’arco e una faretra piena di frecce, richiama il Cupido (Desiderio, pl. Cupidines) - Cupido e Amor sono i nomi latini di Eros, il dio greco dell’amore fisico e del desiderio - della tradizione classica a differenza del quale però al posto dei piedi ha zampe di rapace e nella fascia a tracolla pendono come trofeo i cuori che ha rapito, come il cacciatore appende alla cintura la preda che ha catturato; più a sinistra sta la seconda passione rappresentata da un cinghiale - il cui simbolismo spesso si mescola con quello del maiale - coricato di spalle a terra a rappresentare le passioni immonde o impure; infine, sopra Amor, troviamo Ardor, con la parte inferiore di un animale peloso e quella superiore di uomo con spalle e capelli infuocati. Le Passioni sono respinte dalla Penitenza, ma anche da tre donne che portano tra le mani gli attributi della Passione (chiodi e croce, secchiello, lancia), probabile richiamo alla grazia sacramentale che scaturisce dalla croce di Cristo, e dalla morte rappresentata da uno scheletrico angelo nero con in mano una falce, a rammentare il momento in cui l’uomo sarà chiamato a render conto dell’uso che ha fatto di quel corpo che gli è stato donato.
Dalla parte opposta, a destra della vela, Francesco che aiuta a salire il monte della virtù coloro che accolgono l’invito a seguire la croce di Cristo, mostrata loro da un angelo che sta alla destra del Santo. Rappresentano i tre stati di vita della famiglia francescana: al centro un frate (il cosiddetto Prim'Ordine); alla sua sinistra, più nascosta, una monaca (il Second'Ordine, quello delle Damianite, o Povere Dame, oggi Clarisse); in primo piano un laico (il Terz'Ordine, l'attuale Ordine Francescano Secolare).





Sotto la vela l'iscrizione latina:

[…] / ET CASTITATI ORANTI / VICTORIA CORON[AQUE] / DATUR CARITATEM. / HANC QUERENS SE ASTRINGERE / HONESTATEM SECRETO / LOCO DATUR PERTINERE / SI FORTITUDO PROTEGIT. / DUM CASTITAS PROTEGITUR / PER VIRTUOSA MUNERA / NAM CONTRA HOSTES TEGITUR / PER PASSI CHRISTI VULNERA / DEFENDIT PENITENTIA / CASTIGANDO SE CREBIUS / MORTIS REMINESCENTIA / DUM MONTEM PULSAT SEPIUS / FRATRES SORORES ADVOCAT / INCONTINENTES CONJUGES / CONCTOS AD EAM PROVOCAT / FRANCISCUS

(Poiché a colui che prega nella castità è data in segno di vittoria la corona più alta. Chi vuole guadagnarla, si riveste di onore; l’accesso a questo luogo è concesso se la forza lo protegge perché Castità è protetta da un muro di offerte valorose; essa è rivestita d’una armatura contro i nemici, grazie alle piaghe di Cristo che ha sofferto. La penitenza la difende, e si mortifica severamente al pensiero della morte ed essa eccita ancor più il suo spirito. Frati, suore e terziari tutti Francesco invita e spinge fino a lei [traduzione da: Lobrichon, cit., p. 127]).


IL FRANCESCO GLORIOSO


A completare il ciclo della crociera, nell'affresco della volta verso l’abside, ad ovest, è rappresentato il Gloriosus Franciscus, imberbe, rivestito di una sontuosa dalmatica (l’abito liturgico proprio del diacono), le cui stigmate sono ora preziose gemme. È circondato da un'aureola di raggi e porta nella mano destra la croce, mentre con la sinistra tiene il libro dei Vangeli. Siede su di un trono riccamente decorato che richiama la visione nella quale gli veniva riservato il seggio di Lucifero precipitato dal cielo (cf 2Cel 123: FF³ 707), sulla cui sommità sta uno stendardo rosso con la croce e sette stelle in oro, allusione alle sei apparizioni della croce che «in modo mirabile e secondo un ordine progressivo» furono mostrate apertamente in lui e intorno a lui, a cui si aggiunge la settima, quella del Crocifisso sul monte della Verna (cf LegM 13: FF³ 1236).
Intorno al trono una teoria di angeli musicanti e danzanti, alcuni dei quali hanno in mano dei gigli. 

Anche qui, sotto la vela, l'iscrizione latina:

[...] RENOVAT / IAM NORMAM EVANGELICAM / FRANCISCUS CUNCTIS PRAEPARAT VIAM SALUTIS CELICAM / PAUPERTATEM DUM REPARAT / CASTITATEM ANGELICAM / OBEDIENDO COMPARAT / TRINITATEM DEIFICAM  / CORONATUS VIRTUTIBUS ASCENDIT REGNATURUS / HIS CUMULATUS FRUCTIBUS / PROCEDIT IAM SECURUS / CUM ANGELORUM CETIBUS / ET CHRISTI PROFECTURUS / FORMAM QUAM TRADIT FRATRIBUS / SIT  QUISQUE SEQUUTURUS 

(Il messaggero ha rinnovato la norma evangelica. Francesco prepara per tutti la via celeste della salvezza. Mentre riparata la Povertà e l'angelica Castità con la sua Obbedienza egli acquista una trinità divinizzante. Egli si innalza per regnare, colmo di tutti questi frutti. Ora avanza in sicurezza con le coorti degli angeli e va verso Cristo. Questa forma di vita che lascia ai suoi frati ognuno la segua [traduzione da: Lobrichon, cit., p. 136]).

Sembra di sentirla a questo punto l’antica antifona che, presa dall'eucologia della Messa di san Martino di Tour, papa Gregorio IX avrebbe intonato il giorno della canonizzazione del nostro Santo: Franciscus pauper et humilis, caelum dives ingreditur, hymnis caelestibus honoratur (Francesco povero ed umile, ricco entra nel Cielo, onorato con inni celesti).

Franciscus pauper et humilis


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Sotto al Gloriosus Franciscus, nel catino dell’abside, fino al primo quarto del secolo XVIII, era affrescata la Gloria della Croce opera di Pietro Fiorentino (1301-1350) di cui ci dà notizia il Vasari e l’Antica descrizione manoscritta della Basilica (cf Thode, cit., pp. 425-426). Probabilmente a causa del degrado, fu sostituito nel 1623 dall'attuale Giudizio finale, opera del pittore umbro Cesare Sermei (1581-1668).



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Qualcuno ha proposto una “curiosa”, ma comunque interessante interpretazione della posizione delle quattro vele rispetto a chi le guarda, o meglio a chi - quando più netta era la separazione tra il “popolo” della navata e i “chierici” nel transetto - le guardava. Quella del Francesco glorioso è rivolta verso verso il pellegrino che giunge per “vedere” Francesco e lo contempla in quella gloria che è la meta dalla condizione dell'homo viator ; i “voti” sono invece rivolti ai “religiosi”: la Povertà, il sine proprio, è guardata meglio da chi sta nel coro, secondo alcuni i frati più anziani, così richiamati a quel momento della vita in cui sarà chiesto loro di lasciare ogni cosa (cf Lc 12, 20); le vele della Castità e dell’Obbedienza sono invece ben leggibili dai due lati del transetto dove probabilmente stavano i frati più giovani, chiamati così a specchiarsi nelle virtù con le quali educare l'esuberanza connaturale alla loro età.



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Rimangono da “raccontare” due immagini che si trovano a fianco delle porte che, sui due lati della parete ad ovest, conduco al loggiato superiore del Chiostro di Sisto IV. Si tratta del Giuda impiccato del transetto meridionale e del San Francesco e la morte incoronata sul lato opposto, nel transetto settentrionale. Qualcuno mette queste due scene in relazione a chi forse utilizzava le rispettive scale per raggiungere o lasciare il transetto in cui si svolgevano le celebrazioni: i frati quella a sud, per rientrare nel convento, la corte papale a nord, per raggiungere il patriarchium, il “palazzo” fatto costruire probabilmente da Innocenzo IV, per se e per la sua “corte”, proprio su quel lato del complesso santuariale. 

Ai primi la figura di Giuda (la cui iconografia si ispira a Mt 27, 5; At 1, 15, ma anche al Vangelo apocrifo di Nicodemo) era di ammonimento circa la possibilità di tradire colui che avevano appena incontrato nella preghiera; agli altri Francesco mostrava la morte con una corona cadente quasi a ripetere loro la celebre locuzione Sic transit gloria mundi (così passa la gloria del mondo), in uso nel cerimoniale papale già nella metà del secolo XIII (cf Agostino Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara. Immagini e simboli del papato medievale, Roma, Viella, 2005, p. 106).





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Post di questo blog relativi alla visita alla Basilica di S. Francesco in Assisi

Introduzione generale
1. Dal colle dell'Inferno al colle del Paradiso

La chiesa inferiore
2. Ferma il passo, rallegrati, o viaggiatore: il portale e il transetto d'ingresso
3.1. Franciscus vir catholicus et totus apostolicus: il lato meridionale della navata con il ciclo sanfrancescano
3.2. Franciscus alter Christus: il lato settentrionale della navata con il ciclo cristologico
4.1. Vivere secondo la forma del santo Vangelo - L’umiltà dell’Incarnazione: il lato settentrionale del transetto
4.2. Vivere secondo la forma del santo Vangelo - La carità della Passione: il lato meridionale del transetto
4.3. Vivere secondo la forma la forma del santo Vangelo - In obbedienza, senza nulla di proprio e in castità: le "allegorie francescane" e il Gloriosus Franciscus nel soffitto della crociera

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Bibliografia di riferimento:

* L. Carattoli, M. Guardabassi, G.B. Rossi-Scotti, Descrizione del Santuario di S. Francesco d'Assisi (1863), in "Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria dell'Umbria", vol. XXVIII, fasc. 1-3 (nn. 74-76), pp. 89-227 (la descrizione delle vele alle pp. 162-166).
* I.B. Supino, La Basilica di San Francesco d'Assisi. Illustrazione storico-artistica con duecento incisioni e sei tavole fuori testo, Bologna, Nicola Zanichelli, 1924, pp. 125-132.
* Guy Lobricon, Francesco d'Assisi. Gli affreschi della basilica inferiore, Torino, Società Editrice Internazionale, 1987, pp. 126-136.
* Henry Thode, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, a cura di Luciano Bellosi, Roma, Donzeli, 2003, pp. 406-423.
* Marion Jancek, Chasteté et Pauvreté à Assise. Essai d'interpretazion iconografique des "vele". Mémoire de licence en histoire de l'art, Sous la direction du professeur Serena Romano; Expert M. Nicolas Bock, Université de Lausanne-Faculté de Lettres, Juin 2000.

* Loredana Nepi, L'Allegoria dell'Obbedienza negli affreschi della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, in: "Propositum" 13, 2010/1, 5-9 (online alla pagina di www.ifc-tor.org).
* Loredana Nepi, L'Allegoria della Povertà negli affreschi della Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi. Brevi note iconografiche, in: "Propositum" 14, 2011/1, 6-10 (online alla pagina di www.ifc-tor.org).
* Loredana Nepi, L'Allegoria della Castità negli affreschi della Basilica inferiore di San Francesco in Assisi. Brevi note iconografiche, in: "Propositum" 14, 2011/2, 5-11 (online alla pagina di www.ifc-tor.org).
* Loredana Nepi, Franciscus Gloriosus. La vela della Gloria di san Francesco nella Basilica inferiore di Assisi, in: "Propositum" 16, 2013/1, 5-11 (online alla pagina di www.ifc-tor.org).

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco

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